Giulia e la Lambretta Cagliari, 26 Ottobre 1975. Mi chiamo Giulia. E questa è la mia storia. Sono nata in un piccolo paese nella provincia di Cagliari, nel 1922. Mio padre era un soldato della Brigata Sassari, combatté al Fronte Italiano nella guerra del Quindici Diciotto. Prima di partire, faceva il contadino. Avevamo un discreto appezzamento di terra, che si estendeva tutto attorno alla nostra casa. Nel 1914 io ero solo un dolce sogno che saltellava dalla mente della mia futura mamma a quella del mio futuro padre, un sogno che si interruppe quando l’Italia costituì il glorioso reggimento di fanteria, che negli anni a seguire fu tanto acclamato… Read More
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Mario urlò di nuovo. Scese gli scalini a quattro a quattro. Arrivò al secondo piano, poi al primo, infine giunse al piano terra. In lontananza un uomo in divisa, di spalle, tirava forte il collare di Mario il Brigante. Ehi! Bitte! Bitte! Fermo! Tenente CAZZO! Fermo! Sì, dico a te, tenente Cazzo, o come ti chiami- urlò come se cercasse di sputare il suo stesso fegato per usarlo come arma per difendere il suo Brigante. L’uomo si fermò, Mario corse a perdifiato, quella parte dell’ospedale era affollata di persone che andavano e venivano via, tutti si fermarono ad osservare quella scheggia impazzita. Quando Mario li raggiunse, gridò: Bitte! Hai tre… Read More
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Il soldato scosse un braccio e lo mosse lentamente, fece lo stesso con l’altro, infine piegò una gamba e alzò la testa. Me ce chiamavano a scola – disse, cercando di sturarsi le orecchie con il dito indice. Cosa? Chi? Imbecille: me ce chiamavano a scola, pe’ questo ho mollato in prima elementare. Mario è lì, dobbiamo andare a prenderlo! Come facciamo? Cadeno le bombe! Ma che te sei ammattito? Sì, sono matto! –ringhiò con tutto l’ardore che aveva in corpo, scoprendo i denti, tutti rossi di sangue- Forza, andiamo! Ponziano si alzò, videro un’enorme massa nera muoversi all’impazzata in mezzo alle macerie. Una puzza tremenda andò a coprire l’odore… Read More
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Arrivarono alla stazione, girarono attorno alla piazza per alcuni minuti. Donne che tenevano per mano un bambino, che a sua volta ne teneva uno più basso e così via, anziani con delle enormi scatole in spalla o sopra la testa, un uomo che faticosamente trasportava una macchina per cucire in ferro pesante. Intere famiglie che si stringevano come in una grande catena fatta di paura e speranza, ed avevano una premura matta. Tutta la città era in fila per partire e la stazione era un enorme carnaio in preda alla confusione. Gli operatori delle ferrovie cercavano di destreggiarsi come potevano, perdevano il fiato a forza di usare il fischietto e… Read More
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Mario si svegliò con un mal di testa pulsante e fortissimo. Sentì una punta sopra la fronte, come se avesse una fasciatura stretta, sotto alla quale si era incastrato un sasso. Si toccò e sentì dolore. Provò ad alzarsi, e dovette aiutarsi con le mani: le gambe erano intorpidite, la coscia destra impanata di polvere e intonaco. Restò in piedi per alcuni secondi, cercando di guadagnare equilibrio. Si spostò verso l’esterno, barcollando. Arrivato fuori, una folata di vento lo aiutò ad accorgersi di essere nudo. Il petto completamente segnato da lunghe striature rosse, vi passò una mano sopra e delle fitte lancinanti lo fecero scattare. Tornò dentro. Restò sconvolto a… Read More
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Era il mese di dicembre. La città era coperta da un muro di nubi, e già alle quattro del pomeriggio iniziava ad imporsi l’imbrunire. In quei giorni, le notti erano buie per davvero. Le restrizioni della guerra, la paura, lo scoramento per la vista dei soldati e delle armi, avevano reso la popolazione più cauta e silenziosa, anche se le persone continuavano a vivere. Il razionamento dei viveri diventava ogni giorno più rigoroso, e nelle liste delle autorità comunali, compariva soltanto il piccolo Mario, visto che da quando si erano trasferiti, Nanna e Angelo non si erano mai preoccupati di andare a registrarsi al municipio. Il poco cibo che riceveva,… Read More
Continue ReadingImparare
Lo sanno tutti, perché di lui parlo come se conoscessi Robert Smith. Ho un amico che fino a diciotto anni ha vissuto a Parigi, ma é nato a Cagliari da mamma sarda e papà russo. Per questo è di madre lingua italiana, francese e russa. Ogni estate veniva a Cagliari in vacanza, nella piccola casa al mare dei suoi nonni, assieme a tutti i parenti, tra cui i suoi cugini, come lui mezzosangue, ma in questo caso italo norvegese. Anni dopo, quando in televisione vedevo le discussioni in parlamento europeo, notavo parecchie affinità con i pranzi e le cene in casa dei miei amici russo-franco-scandinavo-sardi, dove spesso avevo la fortuna di… Read More
Continue ReadingIl rifugio – Parte I-
Abitavo in una località alla periferia di Spoleto, Baiano per l’appunto. Non ricordo con precisione i nomi delle montagne che tagliavano a metà il cielo quando guardavo in lontananza, ne elenco alcune alla rinfusa, un po’ perché il suono mi piace assai, un po’ perché scriverli e pronunciarli m’aiuta nel ricordo, addolcisce la nostalgia: Monte Subasio, Monte Vettore, Pettino. La strada di casa mia era poco trafficata, dei marciapiedi vecchi e rovinati finivano sui muri di cinta dei giardini. Guardando dall’alto, la lottizzazione si presentava come una enorme serie di zeri, che al centro avevano uno spiazzo incolto. Quello del mio isolato era il più inaccessibile: arbusti intricati, fanghiglia e… Read More
Continue ReadingAmicizia
– Mi annoi. – E perché? – Mi annoi tu, i posti dove mi porti, i posti dove ti trovo quando ti incontro per caso. Mi annoia come proponi il tuo tempo libero a noi, che siamo i tuoi amici. – E come lo “propongo”? – Senza brio, senza vivacità. Come fosse una naturale attitudine. Venire qui, fare questo, stare zitti oppure parlare di niente. Fare domande insulse. Penso che dovremmo smettere di frequentarci. – Ma, sai. Per mangiare, per vivere, devo fingere, devo ostentare vitalità, devo dipingere in me una finta voglia di stare in mezzo alla folla. – Non ti piace perché la folla è piena di sconosciuti?… Read More
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