Pearl Jam e Smashing Pumpkins. Un po’ il biglietto da visita di un adolescente che vuole marcare la sua diversità dagli altri, fregiandosene con supponenza. Provo a spiegarmi meglio.

A tredici anni conoscevo poco o nulla della musica che mi accompagnò all’età adulta. Nel 1996, a casa, vedevo mia cugina Francesca che “sdoppiava” le cassette di musica Punk prestatele da Fabrizio, e ascoltavo qualcosa insieme a lei, ma poco mi interessava. Poi, un bel giorno in collegio a Spoleto, conobbi Nicola, che in prima superiore divenne il mio amico più caro. Il fascino che esercitava su di me era tutto basato su un contrasto, come sempre d’altronde: la sua timidezza, il suo essere schivo con chi non conosceva, e la sua cultura musicale. Era un appassionato del Seattle Sound, meglio noto come Grunge, negli anni in cui questo genere era ancora dominato dall’eco della leggenda dei Nirvana e dalla profondità della voce di Chris Cornell, per dirne due senza pensarci troppo su. Qual era il contrasto che mi attirava quando osservavo Nicola? Era un tipo particolare, estremamente riflessivo, silenzioso quando si trovava in ambienti poco familiari, ma la sua musica, oh, la sua musica, quella sì che parlava, sempre ed ovunque. Aveva delle cuffie da disc jockey, enormi e potentissime, di marca JVC, lì dentro c’era parte del suo mondo. Con quelle sapeva urlare per davvero, e non erano grida sguaiate, erano poesie maledette, e nessuno dei suoi compagni di convitto ne sapeva nulla, tranne lui.
Fu per questo che iniziai a imbastire la mia piccola biblioteca multimediale rock.
Il gusto semplice e puro dell’ascoltare un certo tipo di canzoni era sublimato dal gusto della rimembranza, tutto era collegato -ebbi modo di appurarlo solo in età adulta- alle canzoni dei Clash, al video di I Fought The Law visto per la prima volta con mio fratello Renzo, alla curiosa copertina con Jim Morrison a torso nudo, ad Asilo Republic di Vasco Rossi, che a sei anni vedevo a casa, prima che la mia famiglia si dissolvesse. Ne ho ascoltato tante, di canzoni Punk e Grunge; ne ho fatte tante, di domande a Fabrizio e Renzo, su chi fosse costui e cosa fossero costoro che salivano sul palco sbronzi ed urlanti; ne ho passato tanti, di pomeriggi in solitudine a pigiare stop, girare la cassetta, tornare indietro, scegliere la canzone, centellinare lo spazio nel nastro per farci stare più pezzi possibile, imprecare perché l’ultimo, inesorabilmente, usciva a metà; ne ho strappato, di jeans per distinguermi dalla massa e porre in evidenza la mia presunta diversità, in quel disperato bisogno d’essere osservato ed analizzato, che mi affliggeva a sedici anni. Ascoltavo musica inglese e criticavo la Dance e il Pop, ma come direbbe Sergio Castellitto in Caterina va in Città, “ero fatto co’ lo stampino” anche io.
Poi un bel giorno ti ritrovi adulto, magari ami e sei amato, scopri che nel mondo puoi incrociare qualcuno che alla tua stessa età, da un’altra parte, in modo diverso ma per le stesse ragioni ha vissuto come te, l’ha pensata come te, si è comportato come te, dunque fai una sintesi di ciò che sono i tuoi gusti, di come li hai maturati, di come si sono evoluti, e delle sensazioni che le passioni vissute ed attuali provocano in te e nei tuoi rapporti con gli altri.

Pearl Jam e Smashing Pumpkins, le tue divinità musicali nei giorni d’adolescenza, crescendo li si può amare entrambi ma in modo diverso, e mentre si è soli e annoiati fare una piccola classifica tra i due. La voce piena e profonda, la voce gracchiante e disperata. L’ acido e lo sporco di una chitarra suonata coi capelli sporchi che cadono sulle spalle e le labbra incrostate di vino rappreso, il ritmo ricercato e l’ irrompere di suoni che dissolvendosi e mescolandosi diventano aria e pensiero.
Rifiuto rabbia e dolore, malinconia nostalgia e tenerezza. Non ho dubbi, si classificano al primo posto gli Smashing Pumpkins. E dopo che la mia fidanzata, chissà quanto tempo fa, ha detto che la voce di Eddie Vedder potrebbe farle perdere la testa e ogni inibizione, ho deciso di distruggere ogni cassetta, ogni disco o file del Pearl Jam. Anche e soprattutto perché in fondo so che è così anche per me. Contrasti.

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<spanxmlns:dct=”http://purl.org/dc/terms/” property=”dct:title”>Racconti di un ottico solitario diRiccardo Balloi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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