– Ci sono quattro cose che muovono ogni azione che io faccio, ho fatto e farò, ma me ne ricordo solo una.
– Ma lo sai che non vedevo l’ora che me lo dicessi?
Il moro ripose la rivista che stava sfogliando, aveva provocato uno strappo di tre centimetri nella pagina che stava consultando. Quando il biondo principiava a parlare, appesantiva sempre la prima vocale, e questo, sovente, faceva sprammare il suo amico di tutti i giorni. Con la loro Panda rossa si erano diretti al molo del porto canale. Il biondo si spaventava sempre, perché aveva paura che, percorrendo la lingua di cemento che tagliava le acque per arrivare all’estremità dove c’era il faro, si capottassero e finissero a mare. Però il sole, laggiù, era più vicino e quando scendeva giù al tramonto, se lo mettevano in tasca.
– Mi dimentico sempre le cose più belle. Le più brutte, al contrario, le ho tutte stampate qui.
– La colpa è dell’Altissimo.
– Dell’Altissimo?
– Esatto. Lui ti fa ricordare queste cose, così veniamo qua e ogni tanto me le racconti. E a me viene voglia di buttarmi a mare. È una punizione.
– Dicevo…- Il biondo si girò, staccando il sedere dalla ringhiera del faro per poggiarvi le braccia.- L’egoismo è il mio movente.
– Com’è che me lo aspettavo? Ero indeciso tra quello, la fame, il caldo e la paura che qualcuno ti picchi.
– Siamo qui perché piace a me, ad esempio.
– Piace anche a me.
– Ma a te piace davvero. A me invece piace l’idea che se non vengo qui mi perdo un poco di qualcosa. Sono un egoista.
Il moro lo guardò con aria interrogativa, era abituato ai suoi discorsi. Chi li osservava dall’esterno poteva pensare che lo odiasse, invece erano sempre lì, insieme, mentre coppie di sessantenni, o giovani amici, oppure uomini solitari pescavano, immersi in quel silenzio devastante che i flutti del mare imponevano in chiunque passasse del tempo al suo cospetto.
– Vedi, la differenza verso l’amore per le persone e quello per le Cose, è semplice.
– Ma dai.
– Quello per le persone è una sorta di elettrocardiogramma, sale e scende, sale e scende, varia a seconda delle scosse elettriche, che in questo caso sono i rapporti quotidiani, o quelli occasionali.
– E quello per le cose?
– È lineare.
– Falso! Qui ti volevo!
Il moro gli si avvicinò, come se lo avesse battuto per la prima volta dopo centinaia di partite a pingpong.
– Io da piccolo amavo il mio pupazzo di Curious George, oggi non più, e quando lo vedo in cantina lo ignoro. E così è per altre centinaia di cose.
– Ma quelle sono cose. Io mi riferisco alle Cose.
Il biondo mentre pronunciava la parola “Cose” strabuzzava gli occhi, come se avesse un segreto che stava per rivelare.
– Una cosa sono le cose, un’altra cosa sono le Cose.- E strabuzzò gli occhi.
– Senti- Rispose il moro. – Non ti offendere ma io ti odio, sei un maledetto imbecille, abbi pazienza, io voglio solo leggere questo schifo di giornalino, solo che ogni tanto sbuchi tu e mi rovini la vita.
Gli voltò le spalle, guardò verso il largo ed infine si abbandonò ad un’imprecazione del tipo “ma guarda tu questo qui”. Fece una pausa di alcuni secondi, poi tornò a guardarlo:
– Sentiamo, cosa c’entra tutto questo sciogli lingua con il fatto che sei un egoista ed altre tre cose che non ti ricordi?
– Le cose sono gli oggetti, come una penna regalata da tuo nonno, la mia collezione di palloni, i cuscini che ti piacciono tanto nel divano di casa tua. Le Cose sono altre.
– Comincio a capire. Non è vero, non ti capisco ma sono stanco.
– L’unica Cosa che io amo davvero è il posto dove vivo, dove mi trovo. Io non l’amo oggi sì e domani no, poi dopodomani di nuovo sì. L’amore per le Cose è intenso.
– Intenso come il caffè Lavazza? Quello nella confezione viola.
– È intenso perché non penso mai a lasciarlo, questo posto dove mi trovo. Non penso mai a cosa potrebbe succedermi se lo lasciassi.
Il moro accartocciò la sua rivista, se la ficcò con difficoltà nella tasca dei jeans, con fare nervoso, ma continuò ad ascoltarlo, non prima di averlo incalzato con una delle sue risposte:
– Ma dai, lascialo questo posto. Lascialo, abbandonalo, togli il disturbo, miglioraci la vita privandoci del tuo ingombrante verbo quotidiano. Non pensare a cosa ti succederà.
– La mia donna, quella che dissi di amare quando ero giovane…
– Siete stati insieme due mesi, sei mesi fa…
– Lei, ho pensato da subito a cosa avrei passato se l’avessi lasciata. E sono rimasto insieme a lei per un motivo soltanto.
Il moro guardava il sole che iniziava a nascondersi dietro il promontorio che qualche chilometro ad Est si affacciava sul Golfo degli Angeli, e senza nemmeno voltarsi, alzò una gamba, vi fece passare sotto una mano, cercò di puntare l’indice verso il biondo, ed infine gridò:
– L’egoismo?
– Esatto. Solo perché avevo paura che separandomene, ci avrei pensato ancora, e poi ancora.
– Ma questo puoi pensarlo anche per questa fantomatica Cosa di cui parli.
– No, amico mio. Non v’è intermittenza nel mio amore verso la mia Cosa, è un amore intenso, appunto.
– Prendila e portala qua, allora.
– Cosa?
– Lei. Quella con cui stavi quando sei mesi fa eri ancora giovane.
– E per cosa dovrei portarcela?
– Guarda quel sole, laggiù. È enorme e potente, ma a una certa ora, lui si abbassa e sembra dissolversi, diluendosi con ciò che, invece, resta sempre.
Ora fu il biondo a mostrare dei gesti di stanchezza. I ruoli parvero invertiti.
– Spiegati meglio.
– Sii egoista, se lo vuoi. Porta qui quella donna, portala con noi, e se quando il sole calerà definitivamente lei non si dissolverà con esso, significherà che anche lei è una Cosa.
– E se invece si dissolverà?
– Non succederà, perché da egoista quale sei l’hai lasciata nonostante la tua paura di pensarci per tanto tempo a venire, di non accettare il distacco nonostante la vicinanza non ti soddisfacesse. Lo hai fatto ma oggi sei qui, e pensi a cercare di collocare le cose, o le Cose.
Il biondo apparve impaurito, ma il moro, che lo conosceva bene, sapeva che la sua non era paura ma impazienza. Scesero le scale arrugginite ed appiccicose del faro Verde, mentre il buio vinceva sulla luce.
In fondo, qual era la differenza tra una terra in cui si era nati, ed una piccola donna occhialuta con la quale, col sole in tasca, si voleva crescere?
<spanxmlns:dct=”http://purl.org/dc/terms/” property=”dct:title”>Racconti di un ottico solitario diRiccardo Balloi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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