
Tempo fa acquistai un campo alla periferia di Cagliari. Il lotto era di quattro ettari, il vecchio proprietario lo aveva diviso a metà, una parte la vendette a me ed una a un salumiere che per quarant’anni aveva gestito una bottega in centro città. Era famoso: il prosciutto che aveva era dolce e morbido, ed era secondo soltanto alla sua mortadella, una prelibatezza da perderci la testa e la linea. Abbiamo comprato due ettari di terreno a testa.
Io, prima o poi, ci pianterò qualcosa, dopo anni non ho ancora deciso. Il salumiere invece voleva imbastire un piccolo allevamento di suini.
Le recinzioni non erano mai state costruite, ma per ovvi motivi a noi toccò farlo. L’accordo col salumiere era che io mi sarei occupato di quelle perimetrali, e lui delle divisorie tra la mia e la sua proprietà.
Pochi giorni dopo insieme ad alcuni amici, ultimai il mio lavoro impiegando alcune ore. Mentre ci accingevamo a chiudere i cassoni dei furgoni, pensai di andare a salutare il mio vicino.
Lo trovai dall’altra parte dell’agro ancora a lavoro, era inchinato e mi rivolgeva le spalle mentre piazzava gli ultimi paletti. Da subito qualcosa di strano saltò ai miei occhi: la rete che aveva tirato su, invadeva la mia porzione di terra, e con un rapido calcolo notai che il maltolto ammontava più o meno a mezz’ettaro. Vedendolo tutto solo al lavoro, pensai fosse una svista, un errore di valutazione.
Rapidamente girai intorno a lui per farmi notare, e guardandolo indicai lo strano disegno trapezoidale che la rete tracciava, deviando verso la mia parte. Quando il salumiere mi vide, allargò le braccia e disse:
– Ho fatto due ettari e mezzo, lascio?.
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