– Mi annoi.
– E perché?
– Mi annoi tu, i posti dove mi porti, i posti dove ti trovo quando ti incontro per caso. Mi annoia come proponi il tuo tempo libero a noi, che siamo i tuoi amici.
– E come lo “propongo”?
– Senza brio, senza vivacità. Come fosse una naturale attitudine. Venire qui, fare questo, stare zitti oppure parlare di niente. Fare domande insulse. Penso che dovremmo smettere di frequentarci.
– Ma, sai. Per mangiare, per vivere, devo fingere, devo ostentare vitalità, devo dipingere in me una finta voglia di stare in mezzo alla folla.
– Non ti piace perché la folla è piena di sconosciuti?
– Non mi piace e basta. E allora vengo qui.
Il posto dove si trovavano era un silenzioso vicolo, circondato da alcune case in pietra bianca, fresche di restauri della Sovrintendenza ai beni Culturali. Una tenera aria soffiava al lato dei loro volti, poche persone passavano, altre sedevano sugli scalini vicini a loro. Tutti avevano una bottiglia in mano. Poco lontano il Corso di Olbia era affollato e festaiolo.
– Continuo a dire che mi annoi.
– Guardati intorno. Per venire qui bisogna girare due volte a destra, come se la via, piegandosi come un calzino, si rannicchiasse su se stessa.
– Rannicchiarsi. Comincio a capire.
– Ebbene, io voglio stare qui, con te, perché ciò che non posso essere nella vita quotidiana, voglio diventarlo nel tempo libero.
– Passami la bottiglia, scambiamocela. Sediamoci. Voglio stare anch’io rannicchiato qui con te.
Amicizia.
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