
Per Natale ho ricevuto in dono l’ intera serie del mitico David Lynch. E’ suddivisa in tre volumi, nel primo è raffigurata l’ immagine dell’ agente Cooper, nel secondo quella di Laura Palmer e nel terzo il volto del nano.
Non li ho ancora fatti girare sul mio lettore, forse non sono pronto. Li guardai qualche anno fa, a ventisei anni, esclusivamente di giorno. Ricordo che quando fu trasmessa in prima visione TV nel 1991, mia madre mi proibì di vederla insieme ai miei fratelli più grandi. Probabilmente, anche se non la seguiva, in pochi minuti di visione, prima di cambiare stanza e lasciare i ragazzi da soli dinanzi alla tv del seminterrato di casa, aveva intuito la carica mistica ed esoterica che il regista era riuscito a dare. Solo una persona adulta poteva apprezzare quei colori, quella fotografia, quell’ambientazione, quelle espressioni, quel simbolismo spesso incomprensibile, senza rimanerne scioccato. E qui si sbagliava: anche a vent’anni, quando la seguivo in seconda serata su Raitre, prima della rassegna cinematografica dal titolo Fuori Orario, ero più tranquillo se qualcuno mi faceva compagnia. Avevo i brividi già dai primi fotogrammi della sigla, con quelle musiche di Badalamenti. Se ero solo, inviavo decine di messaggi a mio fratello, che dall’altra parte dell’ Italia lo seguiva come me, e a scrivergli “oh cavolo, c’è Bob” oppure “Cooper è matto”, mi sentivo più al sicuro.
Tornando a oggi, ho scartato i DVD, e subito li ho sistemati nella mensola dov’è poggiata anche la TV. Stamattina, mentre mi mettevo le scarpe seduto sul divano, tra un mugugno e l’ altro perché il dito grattava tra il calcagno e il collo dello stivaletto, ho alzato lo sguardo.
Lui mi osservava con quell’espressione triste ma risoluta, con quello sguardo che ti lascia perennemente nel dubbio sulla sua reale natura, se benigna o maligna, fino ad ora non è stato ancora compreso.
Il mio sedere è stato immediatamente catapultato sulla poltrona della Loggia Nera, e vedevo la stanza rossa che si abbinava col suo abito, il suo balletto, il patto con Bob, le sue frasi. E poi, ho ricordato il suo modo di parlare all’agente Cooper, nelle visioni che quest’ ultimo aveva e che tanto lo aiutavano nelle indagini: le frasi al contrario.
Ecco, io sin da piccolo ho sviluppato una buona attitudine a parlare al contrario, e fino a poco tempo fa ero in grado di dire intere frasi, riuscendo persino a partire dall’ultima lettera dell’ ultima parola.
A mettere le scarpe impiego sì e no trenta secondi, e tanti sono bastati per far affiorare in me tutti questi pensieri: vedere il nano che silente si rivolgeva a me, ha attivato questa serie di sinistri collegamenti.
Ho appena finito di compilare la raccomandata di disdetta del mio contratto d’affitto. Lì dentro non ci metterò mai più piede. Se mi cercate, mi trovate al parcheggio della stazione ferroviaria: casa mia per qualche tempo sarà la mia automobile.
Racconti di un ottico solitario diRiccardo Balloi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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